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Il Messaggero

Mosè di Michelangelo: la storia della scultura

Il Mosè di Michelangelo è stato realizzato da Buonarroti nell’ambito del complesso statuario concepito quale tomba di Papa Giulio II, conservato nella Chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma.

L’opera ebbe una vita travagliata, tanto che lo stesso Buonarroti la definì “la tragedia della sua vita“. Michelangelo impiegò infatti circa 40 anni a terminare la commissione di Papa Giulio II della Rovere, cominciando nel 1505 a scegliere direttamente il blocco di marmo sul quale lavorare nelle cave di Carrara.

L’opera avrebbe dovuto trovarsi inizialmente nella Basilica di San Pietro ma, dopo la morte di Giulio II e la successione di altri quattro papi, si optò alla fine per disporla nella chiesa di San Pietro in Vincoli.

Un travaglio lunghissimo, costellato di polemiche e ripensamenti, nonché accuse e cambi di posizione da parte dei nuovi papi nel frattempo saliti al Soglio di Pietro.

Tra l’altro, lo stesso Michelangelo cambiò più volte i suoi progetti, tanto che si ritiene che, dopo circa 25 anni dall’inizio del Mosé, l’artista decise di spostarne la posizione del viso per fargli assumere quella attuale, di lato. Una decisione che però avvenne solo dopo che lo aveva inizialmente già scolpito in posizione frontale.

foto: Shutterstock

La luce del Mosè di Michelangelo

Con la riconfigurazione monumentale del 1542, Michelangelo pose l’immagine di Mosé al centro del complesso, tra la figura della Carità e quella della Fede, per alludere al dibattito sulla salvezza negli anni degli aspri scontri tra luterani e contro-riformati e sulla necessità di non separare opere e fede.

Durante il periodo dell’equinozio di Primavera, gli ultimi raggi del sole fluiscono in uno strettissimo varco tra le finestre e le colonne della navata e ricoprono l’immagine della Carità, al fine di illuminare la statua, che sembra addirittura emettere una luce propria. Un evento che si vede al tramonto, nel periodo che corrisponde alla Pasqua cristiana.

Quello che si provoca è un effetto visivo sorprendente, studiato approfonditamente da Michelangelo, e che minuto dopo minuto sembra “accendere” tutti gli elementi fondamentali del gruppo scultoreo.

foto: Shutterstock

L’estensore del mignolo del Mosè

Uno dei dettagli del Mosè di Michelangelo che meglio rappresenta la perfezione dell’opera è l’estensore del mignolo della mano destra della stadua.

Questo piccolo muscolo è solitamente nascosto nella loggia superiore dei muscoli dorsali dell’avambraccio tanto che si contrae soltanto quando si solleva il mignolo.

L’attenzione ai dettagli dell’Artista Fiorentino non poteva non tener conto di questo fattore, tant’è che nel braccio del Mosè, che tiene il mignolo sollevato, è possibile individuare il poco conosciuto muscolo dell’avambraccio.

Michelangelo, d’altronde, era un profondo conoscitore dell’anatomia umana, che aveva appreso anche grazie al priore Nicolò di Lapo Lapo di Bichiellini, in Santo Spirito, che gli aveva permesso di studiarla sui cadaveri.

foto: Shutterstock

Michelangelo di fronte alla statua: “Perché non parli?”

Uno degli aneddoti più conosciuti su Michelangelo, che ha assunto i tratti della leggenda, riguarda la lunga e controversa lavorazione dell’opera. Una volta dato l’ultimo colpo di scalpello al Mosè, si racconta che il Buonarroti si rivolse alla statua e, ammirandone la vivida perfezione, pronunciò le parole: “Perché non parli?”

Il motivo di questa domanda era ovviamente l’aspetto della scultura, che pareva talmente viva dall’aver colpito il suo stesso creatore.

Tuttavia, il racconto continua aggiungendo il dettaglio che di fronte all’ovvio mutismo del Mosè, Michelangelo ebbe uno scatto di rabbia, assestandogli una vigorosa martellata sul ginocchio, che presenterebbe tutt’oggi una crepa.

In realtà, quella presente sul ginocchio destro del Mosè è soltanto una venatura naturale del marmo che lo attraversa.

foto: Shutterstock

Il ginocchio più piccolo del Mose’ di Michelangelo

Sul ginocchio destro del Mosè c’è anche un’altra storia (vera stavolta): è più piccolo rispetto a quello destro.

Il motivo sembrerebbe risalire ai tempi in cui Michelangelo decise di cambiare la posizione dell’opera, stringendo il ginocchio di circa 5 centimetri per poter dare un giusto effetto ottico al resto dell’opera.

Foto: Shutterstock