È il mistero legato alla morte di Bergamini al centro della nuova docu-serie di e con Pablo Trincia, quattro episodi su un caso che scuote l’Italia da trent’anni.
Il 27 e 28 giugno, Sky TG24, Sky Crime, Sky Documentaries, Sky Sport e in streaming su NOW presentano Il cono d’ombra. La Storia di Denis Bergamini. La docu-serie Sky Original – quattro episodi ideati da Pablo Trincia, Debora Campanella e Paolo Negro, che ne cura anche la regia – riapre uno dei casi più enigmatici della cronaca italiana. È il 18 novembre del 1989, una domenica, quando lungo una statale della costa calabrese l’amatissimo giocatore del Cosenza calcio viene investito da un camion.
Ai margini della strada, una ragazza (la ex fidanzata della vittima) in lacrime. Quel presunto suicidio da subito sollevò dubbi da più parti, accendendo anche il dibattito collettivo. La vicenda di Denis, morto in circostanze mai del tutto chiarite, ha infatti diviso l’opinione pubblica per oltre trent’anni. Non solo: la famiglia e gli amici del giocatore non hanno mai smesso di cercare risposte, opponendosi sin dai primi momenti all’iniziale archiviazione come suicidio.
Il Cono d’Ombra segue proprio questa lotta grazie a una serie di testimonianze toccanti, come quella della sorella Donata Bergamini, con immagini d’archivio e video personali di Denis. E arriva al racconto dei risvolti più recenti, con la riapertura del caso e il processo del 2021. Ma perché il caso Bergamini continua a interrogare l’Italia?
La scelta della storia di Denis Bergamini
“Tutto è nato molto rapidamente”, così Pablo Trincia a proposito della scelta della storia. “Venivamo dal lavoro su Rigopiano, un progetto impegnativo, emotivamente denso. Siamo lo stesso team, le stesse persone, e dopo aver attraversato quella vicenda così complessa, avevamo bisogno di cambiare registro. Cercavamo qualcosa di diverso.
Inizialmente avevamo pensato di occuparci di un caso di scomparsa, ma una delle persone coinvolte si era tirata indietro. Così abbiamo deciso di restare nell’ambito della cronaca nera. Il nome di Denis Bergamini continuava a riemergere, nei nostri archivi vecchi e nuovi. Ma io ero sempre un po’ scettico: ‘È passato troppo tempo, siamo nel 1989, non c’è materiale sufficiente’”.
Po ila svolta. “Abbiamo scoperto che tra i legali c’era Fabio Anselmo, avvocato che conoscevo per il suo impegno nei casi Cucchi, Aldrovandi, e altri ancora. Lo abbiamo contattato, abbiamo fatto una call e ci ha detto: ‘C’è tantissimo materiale, audio e video’. Questo ha spostato l’ago della bilancia.
LEGGI ANCHE: — Clip Esclusiva | “Eternal – Odissea negli abissi” il nuovo film di Ulaa Salim
E poi c’era quell’immagine: una macchina che entra in una piazzola di sosta con due persone a bordo. Un’ora e mezza dopo, una delle due è morta sotto un camion. Sembra davvero l’inizio di un romanzo. E invece è una storia vera, con un elemento di mistero così forte da spingerci ad andare a fondo. A cercare di illuminare quel cono d’ombra”.
Del resto, il caso di Bergamini solleva ancora molte, troppe, domande. “Ovviamente c’è una magistratura che ha riaperto il caso, ed è a loro che spetta decretare ciò che è successo davvero”, prosegue il team autorale. “Noi abbiamo fatto il nostro lavoro: leggere le carte, ascoltare i testimoni, scavare dove possibile. Le domande sono apparse subito chiare e numerose: perché Denis ha lasciato il ritiro? Perché è andato proprio su quella piazzola? Abbiamo provato a rispondere, ma sempre senza dare un’interpretazione nostra. Abbiamo messo a disposizione del pubblico tutti gli elementi utili per farsi un’idea autonoma”.
Il cono d’ombra, dal podcast alla docu-serie
Prima della docu-serie è nato il podcast omonimo, già disponibile all’ascolto, in un progetto che unisce ascolto e visione. Per il caso Bergamini, racconta ancora Pablo Trincia, “c’era anzitutto l’esigenza di ricostruire quella piazzola. Ci siamo accorti che per capire davvero cosa era successo, dovevamo costruire qualcosa che ci aiutasse nella comprensione per validare tutte le testimonianze che stavamo studiando.
Abbiamo chiesto a uno studio specializzato di creare un modellino in scala 1:43, basandoci su foto della scena scattate quella sera, immagini della RAI del giorno dopo, e persino una foto satellitare dell’Aeronautica Militare del 1989. Ma non bastava. Avevamo bisogno di capire anche la dinamica, così abbiamo ingaggiato una compagnia teatrale che lavora con il metodo Strasberg per rappresentare le testimonianze. Non volevamo una rappresentazione macchiettistica.
La sceneggiatura era composta unicamente da quanto detto nei documenti ufficiali. Non abbiamo riempito i vuoti, ma mostrato le contraddizioni. Così si sono rese ancora più evidenti le incongruenze, le discrepanze. Per noi è stato uno strumento di comprensione, ma anche un elemento coinvolgente per lo spettatore”.
Trincia, infine, sottolinea la scientificità e il rigore con cui la ricostruzione e, poi, la narrazione sono state condotte. “Nel nostro lavoro, lo diciamo sempre, non si improvvisa. Bisogna studiare, studiare, studiare. Raccontare ciò che è dimostrabile’. È un approccio scientifico, non istintivo. E quando si arriva al limite del cono d’ombra, ci si ferma. Si mostra ciò che si può dimostrare, si lascia che il pubblico osservi e si formi un’opinione”. E quello che resta, a trent’anni dai fatti, è ancora una domanda: cosa è successo davvero a Denis Bergamini?
Immagini da Ufficio Stampa