Trasformarsi, cambiare, crescere. Ruben, Emilio e Lucas sono adolescenti spensierati, impacciati e con una grossa gatta da pelare: prima di andare a una cerimonia funebre, devono trovare le chiavi di Lucas, smarrite nel parco.

L’impresa è ardua, soprattutto perché i tre amici riflettono parecchio sulla strategia da mettere in atto, ma di metterla in atto sul serio se ne parla poco. Si sa, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare o, in questo caso, un mucchio di foglie: quelle in cui, a loro dire, le chiavi si sono smarrite.

In un pomeriggio come tanti – o forse no – i tre amici si confessano, bisticciano, fantasticano e cercano di tutto, trovano parecchie cose, ma le chiavi proprio no.

L’occasione della perdita – delle chiavi, sì, ma anche dell’amico al funerale del quale devono andare a fine giornata – è occasione di guadagno, di ritrovo. Nelle loro riflessioni, nei loro incontri, sfila l’amore, il sesso, il lavoro, il cibo, la paura.

Lucas, Ruben ed Emilio sono tre adolescenti in una storia che sembra non raccontare nulla, ma che è intensissima, una trama da cui è difficile distrarsi: è la storia di un viaggio, il viaggio più lungo e faticoso di tutti, il viaggio verso la maturità, la responsabilità, la consapevolezza.

Il messicano Alejandro Iglesias, al suo esordio alla regia, dà prova di grande abilità: i dialoghi sono divertenti ed efficaci, la caratterizzazione dei personaggi è estrosa e il film è uno scorrere di immagini, creatività, ironia che conquistano sin dalla prima scena.

Delle chiavi si parla poco, tant’è che alla fine (spoiler) neanche si trovano, ma il punto è un altro, per i tre ragazzi e per tutti. Quella che hanno davanti è una porta chiusa, che senza serratura si spalanca verso la vita.

Surreale, drammatico, geniale, amiamo già il regista. Sotto il mucchio di foglie, soffiatore alla mano, abbiamo scovato un signor film.