Vivere a pieno è il primo libro sul coaching della salute, scritto da Filippo Ongaro. La nostra intervista.

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Si intitola Vivere a pieno il nuovo libro di Filippo Ongaro, per anni medico dell’Agenzia Spaziale Europea (famoso anche per aver sviluppato il programma nutrizionale di Samantha Cristoforetti) e Direttore dell’Istituto di Medicina Rigenerativa e Anti-Aging (ISMERIAN). Il libro, edito da ROI Edizioni, è il primo sul ‘coaching della salute', scienza che punta al miglioramento della nostra vita quotidiana attraverso un percorso basato sulla pratica. Abbiamo voluto però chiedere direttamente a Filippo cos’è esattamente il coaching della salute e cosa consiglia alle persone per trovare più facilmente la serenità.

Ciao Filippo, inizierei a parlare subito di questo libro, che secondo me ha un titolo bellissimo: Vivere a pieno. Il messaggio mi sembra chiarissimo.
Il libro nasce dall’esperienza fatta in questi anni con i pazienti. In un certo senso, l’obiettivo è andare oltre il concetto di salute come assenza di malattia oppure come privazione e sacrificio. Il punto è che abbiamo una vita sola, una sola opportunità e non va sprecata. Negli ultimi anni, mi sono quindi aperto alla ricerca sulla psicologia comportamentale e alle neuroscienze che iniziano a fornirci una guida non precisa, ma abbastanza solida di quali sono le tappe da seguire per costruire una vita che ci dia più appagamento, più gioia e più serenità. Credo che sia l’unico obiettivo che ognuno di noi sente proprio. Avere il colesterolo giusto ma essere tristi non vuol dire vivere una vita migliore.

Infatti. Quindi questa era la premessa, come l’hai sviluppata poi?
Sono andato alla ricerca di tutte le metodologie che potessero soddisfarmi anche sul piano scientifico. La buona vecchia motivazione non basta: trovarsi ogni anno con alcune persone in una stanza e mettere la musica a manetta potrebbe sembrare fantastico per tre giorni, poi si torna a casa ed è tutto uguale a prima. Il percorso di cambiamento deve fondarsi sulla ricerca e questo è il tentativo che ho fatto in questo libro.

Dai molta importanza al contesto e questo è ovvio, perché l’ambiente che ci circonda ci influenza. Anche in base alla tua esperienza, come si trova un equilibrio tra ciò che ci sta attorno e il tentativo di avere un benessere personale?
Credo tantissimo nel ritorno alle pratiche quotidiane. Le piccole cose di ogni giorno. Ho l’impressione che questo livello di insoddisfazione generale sia legato al fatto che pensiamo troppo ‘in teoria’ e ‘in generale’. Siamo sempre alla ricerca di certezze: la salute, la ricchezza, la sicurezza. Ci dimentichiamo però spesso che la vita altro non è che la somma delle piccole giornate. Se nelle piccole giornate non percepisci serenità e tranquillità, temo che la vita possa diventare il prodotto di una singola giornata. Da cosa bisogna partire? Dalle piccole cose, dai piccoli gesti quotidiani.

Cioè?
Pensa a come ci si rimette in forma. Non puoi pensare: ‘Tra un anno voglio essere in forma’. Devi fare attività fisica tutti i santi giorni. Devi partire dalla parte pratica e concreta, che può essere poi spalmata in un arco di tempo. Se viene svolta con regolarità e impegno, il cambiamento ci sarà senza ombra di dubbio. Bisogna cogliere il meglio da ciò che ci sta intorno e, nello stesso tempo, isolarsi dal peggio. A mio parere, oggi molte persone assorbono il peggio e non colgono il meglio. Ci ritroviamo costantemente stimolati dalle notizie negative, dalle cose brutte, dalle paure di tutti e poi non assorbiamo il fatto di essere circondati da persone che ci amano. Ci preoccupiamo piuttosto del terrorismo internazionale. Iniziamo a goderci i familiari che ci amano e che sono intorno a noi!

Bisogna trovare un equilibrio quindi…
Si tratta di un riallineamento tra ciò che ci fa stare meglio e ciò che ci fa stare peggio.

Faccio un passo indietro, perché Vivere a pieno è in effetti il primo libro sul coaching della salute. Proprio per contestualizzare anche le tue ricerche, mi spieghi cosa si intende esattamente per ‘coaching della salute’?
In realtà, è un concetto molto semplice e anche abbastanza intuitivo una volta spiegato. Dopo tanti anni, mi sono reso conto che le persone sanno quasi sempre cosa è giusto fare per la propria salute e che è molto difficile trovare qualcuno che non sappia che i broccoli sono meglio delle patatine o che fare una passeggiata fa più bene che guardare la tv. Il sapere non è il problema, le persone le cose le sanno e chi fa finta di no si sta creando un alibi. Tuttavia, sapere non vuol dire mettere in pratica. Gli ostacoli risiedono nella dimensione psicologica, emotiva, ma anche operativa e nessuno si preoccupa di risolverli. Ti faccio un esempio: il medico può scriverti una dieta, ma non è suo compito assicurarsi che tu la segua, quello sta a te. Lo psicologo, invece, viene visto come uno che si occupa di problematiche e non di miglioramento. Il coaching della salute riempie un po’ questo gap: non solo ti dice cosa è meglio fare per la tua salute, ma crea una strategia per passare alla pratica.

Non pensi che al giorno d’oggi la difficoltà delle persone sia proprio quella di iniziare un lavoro su stessi?
Assolutamente e credo sia anche la conseguenza di una società impostata negli ultimi secoli sul concetto che ci siano degli esperti a risolverti la vita: i bambini te li educa la scuola, il medico ti cura la salute, il prete ti dà la benedizione e tu non fai niente. Il sistema, ovviamente, non funziona. Non è colpa né della scuola né del medico: si è creato un atteggiamento mentale che ci fa delegare all’esterno cose che non sono delegabili. La salute è una nostra responsabilità, per esempio. Sicuramente ci sono tante persone che hanno difficoltà a iniziare un lavoro su se stessi, ma ti dico anche che ho l’impressione che la consapevolezza e il desiderio di iniziare un lavoro stiano crescendo. Incontro tante persone che fanno fatica a metterlo in pratica, però iniziano a capire che c’è qualcosa che non va e che le soluzioni devono venire dall’interno, non dall’esterno. Credo che questo sia un cambiamento abbastanza grosso rispetto a 20 anni fa. Tematiche come queste erano riservate a pochi e venivano percepite da tanti come teorie new age. Ora forse vengono ritenute complesse, ma non trattate con snobismo. Qualcosa manca e questo qualcosa deve venire da noi.

In questo libro presenti vari obiettivi, raggiungibili solo attraverso vari step, che immagino siano fondamentali. Bisogna vivere alla giornata, insomma.
Penso che sia importante ragionare per step, perché va fatto un percorso di costruzione che non può essere bypassato. Andrei anche oltre e ti direi che è l’unico percorso possibile, perché la fine non c’è. Il percorso di miglioramento parte da una posizione ma non ha necessariamente una fine. Io faccio una distinzione tra gli obiettivi di processo e quelli di risultato: bisogna cercare di farsi piacere il processo, quelle azioni quotidiane che ci fanno stare bene. Il risultato finale è qualcosa che abbiamo parzialmente sotto controllo e non deve essere il movente principale, perché se il movente è uno e per qualche motivo non raggiungi lo status a cui aspiri molli tutto. Succede molto spesso. Se ti concentri invece sul piacere dell’azione, cambia tutto: non pensare a quanti chili devi perdere, fatti piacere la camminata quotidiana. Questa è la differenza tra i diversi obiettivi ed è utile conoscerla per aderire a un percorso senza cambiarlo. 

Sembra facile, ma non deve essere così scontato riuscire a cambiare punto di vista…
Anche questo è un percorso. Non succede da un giorno all’altro e ci vuole un po’ di tempo per passare da una condizione all’altra.