loading

Nel 1990, una giovane donna decide di vendere ad un archivio francese tutti gli scritti della madre Irene, deportata ebrea morta nel 1942 ad Auschwitz.

SUITE FRANCESE, DUE SPOT E DUE FEATURETTE

Sono scritti ‘miracolati’, perché trasportati in una piccola valigia dalla tutrice e dalle due bambine di Irene durante la loro fuga, mentre – nel corso del conflitto – si spostavano da un rifugio all’altro, nel tentativo di scampare alla cattura.
Sembra impossibile che quella valigia si sia alla fine salvata, così come gli scritti, rimasti intoccati per 50 anni: Denise, la figlia maggiore che li custodiva, era infatti convinta che si trattasse di un diario della madre e si è sempre rifiutata di leggerli per non riportare a galla ricordi troppo tristi. In quegli scritti si nascondeva invece un romanzo, scritto nel 1942 da Irene con una grafia piccolissima, per risparmiare la carta e l’inchiostro che scarseggiavano durante la guerra. Si trattava di Suite française, romanzo venuto allo scoperto nel 1990 e pubblicato in Francia nel 2004, più di 60 anni dopo la scomparsa di Irene.

 

È questo il romanzo che ha ispirato il regista Saul Dibb e che lo ha spinto a crearne una traposizione cinematografica: difficile, del resto, resistere a una storia così affascinante (più quella della scoperta del libro che la sua trama) e che ha conquistato il mondo intero, venendo tradotto in ben 38 lingue. È questo inoltre il primo motivo per cui vi consigliamo di vedere la pellicola, nelle sale italiane a partire dal 12 marzo, e quello per cui ovviamente vi consigliamo caldamente la lettura del libro. Non sia mai che scavalchiate la fonte originale della storia.

Suite francese, una storia d'amore senza pregiudizi

La storia, a proposito, merita decisamente di essere raccontata. I protagonisti del libro e del film sono Lucille e Bruno, tanto diversi quanto simili. Si conoscono durante la guerra: Lucille vive insieme alla suocera a Bussy, piccola cittadina della campagna francese. Il marito è stato fatto prigioniero e, mentre le due donne lo attendono, Bussy viene ‘pacificamente’ invasa dai soldati tedeschi. Lucille e la suocera si ritroveranno dunque loro malgrado a dover ospitare il comandante Bruno von Falk e a vivere con l'uomo sotto lo stesso tetto. Poco male, visto che Lucille e Bruno scopriranno di avere più cose in comune di quanto si aspettassero, arrivando a confondere e ad esplorare i labili confini dei sentimenti, quelli imposti dalla moralità o da uno schieramento patriottico e quelli che invece non possono essere di sicuro guidati dalla ragione. Vi sembrerà una storia d’amore qualunque, ambientata nel corso della guerra raccontata da un film storico qualunque, ma ci permettiamo di dire che non è così: al di là del sentimentalismo insito nella pellicola, il film di Dibb sfuma le definizioni ed elimina le classiche connotazioni del bianco e del nero, gettandosi nel grigio. Anche in tempi in cui sarebbe fin troppo facile definire ciò che è buono e ciò che non lo è, la nostra umanità finisce per imporci di vedere tutto in prospettiva e rimescolare le nostre credenze. Non solo per il tenue sentimento che nasce tra un ufficiale tedesco e una giovane francese sposata in attesa del marito, ma anche per tutte le storie che circondano i nostri due protagonisti e che si intrecciano alla trama principale, sfidando il senso comune e i suoi stereotipi.

 

Michelle Williams, Kristin Scott Thomas e Ruth Wilson: che tris!

Se Saul Dibb ha fatto un ottimo lavoro nell’immortalare i drammi e le ‘sfumature’ del conflitto, il cast femminile da lui scelto è a dir poco perfetto. Nei panni di Lucille troviamo infatti una sempre impeccabile Michelle Williams, in quelli della suocera troviamo invece Kristin Scott Thomas. Ad affiancare le interpretazioni ineccepibili delle due attrici, vediamo poi la britannica Ruth Wilson, freschissima di Golden Globe per il suo ruolo nella serie The Affair. In Suite Francese, Ruth veste i panni di una donna poco abbiente di Bussy, che insieme al marito e ai figli sarà costretta ad ospitare un soldato tedesco tutt’altro che gentile. È intorno a queste tre donne, diversissime tra loro, che si sviluppa l’intera trama del film e il percorso che ciascuna di esse si trova ad aver fatto alla fine della pellicola è interpretato in modo a dir poco brillante. Avevate dubbi?

 

Matthias Schoenaerts, dal Belgio alle grandi produzioni

Il difficile (ma onorevole) ruolo dell’ufficiale Bruno von Falk è toccato invece a Matthias Schoenaerts. Molti di voi non avranno mai visto questo attore sul grande schermo, per cui è opportuno fare chiarezza: Matthias è un attore belga che ha debuttato nel film Padre Daens (1992), candidato all’Oscar come miglior film straniero. Da allora, ha preso parte a diversi cortometraggi, sentendo ancora odore di Oscar nel 2011 con Bullhead di Michaël R. Roskam (candidato sempre alla statuetta come Miglior Film Straniero). Da lì inizia per l’attore un periodo particolarmente fortunato: lo vediamo prima in Un sapore di ruggine e ossa di Jacques Audiard al fianco di Marion Cotillard e poi in Blood Ties di Guillame Canet. Qualcosa ci dice che torneremo a sentir parlare di lui molto presto.

I costumi perfetti di Michael O'Connor

Un’ultima menzione la riserviamo ai costumi, curati da Michael O'Connor, che già aveva lavorato con Saul Dibb per La Duchessa. Per creare uno stile che fosse perfetto per l’epoca, O’Connor ha studiato fotografie, riviste e film del tempo. In particolare, il costume designer è stato aiutato tantissimo dal romanzo di Irène Némirovsky, che dedica lunghi paragrafi alla descrizione degli abiti, soprattutto quelli dei soldati tedeschi. La cura e l'attenzione ai dettagli di O'Connor traspaiono in tutto il film, per la gioia – immaginiamo – dei fan delle riproduzioni fedeli e della moda 'vintage'.