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Matt Dillon presidente di giuria ad Alice nella Città: 'Tornerò dietro la macchina da presa'

“Non sono mai stato presidente di niente in vita mia! Ma sono onorato di essere stato invitato!”

Così ha esordito Matt Dillon presidente della giuria Alice nella Città che, insieme a Anna Foglietta, Gabriele Mainetti, Camilla Nesbit, Claudio Giovannesi, FrancescaSerafini e Giordano Meacci, assegnerà il premio Camera d’Oro Taodue alla migliore opera Prima e Seconda presentata nel programma di Alice nella città (sia nel concorso Young/Adult sia in Alice/Panorama). 

"Sarà una decisione impegnativa – sottolinea l'attore durante la conferneza stampa – ma faremo del nostro meglio. Il concetto di concorso per un opera creativa è difficile da gestire. Da artista , attore e soprattutto da regista sono in perfetta sintonia ed empatia con i registi e mi complimento con chi ha fatto la sezione perché sono tutti film che meritano.”

Per Matt Dillon, attore versatile, protagonista di film indimenticabili come 'I ragazzi della 56° strada' e 'Rasty il Selvaggio' (entrambi per la regia di Francis Ford Coppola), 'Tutti pazzi per Mary', 'Factotum' (in cui regala una straordinaria interpretazione di Henry Chinaski ovvero Charles Bukowski), 'Crash – Contatto fisico' per il quale è stata nominato agli Oscar 2004 come miglior attore non protagonista, il film ideale deve essere un film autentico. E’ difficile da definire l’autenticità di un film, ma è un qualcosa che deve avere il suo punto di partenza nei personaggi della storia “Si la linea del racconto è importante, ma per me tutto si riconduce ai personaggi, perché la storia creata sarà raccontata dai personaggi interpretati da attore. Quindi per me quello che conta è la coerenza, l’autenticità del personaggio.”

Nel 2002 Matt Dillon ha fatto il suo debutto dietro la macchina da presa, dirigendo 'City of Ghosts’. Il passaggio dall’altra parte, è stato molto spontaneo, ed anche se per il momento si è fermato ad una sola volta, Dillon non esclude  che possa accadere ancora e confessa di essere già alle prese con la scrittura di un documentario.

"Mi ha sempre interessato raccontare storie, e anche da attore l’ho fatto perché avevo qualcosa da dire. La verità mi ha mosso come attore e come regista e nel momento in cui non mi soddisfacevano le proposte, ho deciso che avevo qualcosa da dire. E aggiungo che la mia prima volta come regista è stata un’esperienza che ho affrontato grazie alla precedente esperienza come attore che mi ha portato ad essere qua oggi come presidente di una giuria. Non sono tornato a fare una seconda regia perché sono tornato a fare l’attore. Attualmente sto lavorando ad un documentario, genere che trovo molto più difficile del fare un film perché al tempo stesso devi scrivere e farne la regia . La sfida è tornare al propio lavoro e trovare una verità personale.”

Ed è estremamente sincero anche quando una giornalista gli chiede quale sia il personaggio che gli ha regalato maggiori soddisfazioni.

"A essere  sincero odio questa domanda! – risponde sorridendo l’attore – Cerco sempre di personalizzare e fare mio ogni personaggio che faccio e una volta interpretato vado avanti e me lo lascio alle spalle. Come attore ho la fortuna di poter diventare un’altra persona e trovo che sia un'esperienza unica e gratificante."

Ma le domande 'spinose' non finiscono qui. Perchè non è tornato dietro la macchina da presa visto che sono passati 14 anni dal suo debutto? Dillon risponde che la decisione non è dipesa dal successo o insuccesso del film.

"E’ stata una delle esperienze più belle della mia carriera. E’ passato tempo è vero: c’è chi parla di fortuna nel nostro lavoro, secondo me se ci si impegna tempo ed energia e se ci si lavora su alla fine i momenti di fortuna e sfortuna si equivalgono. Indipendentemente da come sia andato il film, trovo che Domenico Procacci abbia fatto un lavoro magnifico. E’ difficile capire perché un film piace oppure no; per il momento non ho fatto l’opera seconda perché, forse, facendo l'attore non mi sono capitate occasioni. Non escludo in futuro di tornare dietro la macchina da presa, non ho messo da parte il progetto. Sto lavorando ad un documentario che in realtà avevo cominciato prima della prima regia.”

Il documentario riguarda El Gran Fellove, musicista cubano, che non riuscendo a affermarsi a Cuba – come molti altri musicisti – si è spostato in Messico dove  negli anni ’50 c’era un’atmosfera più aperta. Un viaggio personale dell’artista “una grande lezione per me” ha concluso Matt Dillon.