La nostra intervista a Davide Ferrario e Stefano Eco per il documentario ‘Umberto Eco – La Biblioteca del Mondo’.

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La biblioteca privata di Umberto Eco era composta da 30.000 volumi e 1.500 libri rari e antichi. Un mondo a sé, da scoprire e sfogliare, a cui è possibile approcciarsi grazie a Umberto Eco – La Biblioteca del Mondo, film documentario di Davide Ferrario, presentato alla Festa del Cinema di Roma 2022.

Davide Ferrario aveva già collaborato con Umberto Eco per una videoinstallazione alla Biennale Arte di Venezia un anno prima della morte dello scrittore. Ora ha avuto accesso alla biblioteca grazie alla fattiva collaborazione della famiglia. Ne è nato un documentario che non solo descrive un luogo straordinario, ma cerca di afferrare il senso stesso dell’idea di biblioteca in quanto memoria del mondo, come la definiva lo stesso Eco.

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«Ci sono biblioteche polverose e solitarie, ma dipende da chi le gestisce e cosa ne vuole fare. – ci dice Ferrario – Umberto Eco polemizzava con le biblioteche che conservano e nascondono con la scusa di salvare, ma che in realtà non mettono in comune. Invece la sua biblioteca era una cosa viva. Non era un deposito di libri, ma vedevi la mano del proprietario. Era piena di segni che indicavano che lì stava succedendo qualcosa. Volevo raccontare la vita di una biblioteca che è fatta di cose immobili. La carta è una cosa immota, non viva, ma in realtà è memoria vegetale e può diventare serbatoio di pensieri».

A Roma, insieme al regista, c’è Stefano Eco, figlio dello scrittore. «Questo film è uno dei pochi progetti che riesce a parlare di libri mantenendoli vivi, com’erano in partenza. – dice proprio Stefano – Non succede quasi mai. Per noi familiari, che facciamo piccole apparizioni ogni tanto, è quasi un ricordo personale. Un album un po’ elaborato».

Umberto Eco – La Biblioteca del Mondo: un generatore di connessioni

La biblioteca di Umberto Eco, per com’era organizzata, è del resto un unicum.

«Devo dire che ho avuto il piccolo orgoglio quando ho fatto i sottotitoli. – dice in proposito Ferrario – Perché ho cercato i riferimenti nella mia biblioteca personale e li ho trovati. Mi ha colpito l’idea che i libri non fossero organizzati in modo orizzontale, ma che come un piano cartesiano potevi leggere la biblioteca anche vedendo gli incroci verticali. L’idea delle connessioni per me è fantastica. La biblioteca non è solo un archivio, ma generava connessioni che producevano pensieri».

E, per la famiglia di Eco, questo documentario resta comunque un prezioso ricordo. «Dopo la morte di mio padre – racconta Stefano – abbiamo deciso che i suoi libri fossero disponibili in Italia. Abbiamo quindi donato tutto allo Stato. E ora che i libri stanno uscendo di casa, ci dispiace un po’. Quindi volevamo avere un ricordo di che aspetto avesse la biblioteca di mio padre».