Jeff Beck Loud Hailer Recensione

Si chiama “Loud Hailer” (Rhino/Warner 2016) ed è l’ultima fatica discografica di colui che la prestigiosa rivista musicale Rolling Stone ha definito “il quinto chitarrista più bravo di tutti i tempi”: Geoffrey Arnold Beck, a tutti noto come Jeff Beck.

Con Loud Hailer, il chitarrista nato in un borgo a sud di Londra più di settant’anni fa, che vanta collaborazioni che vanno da Jimmy Page a Roger Waters, da Brian May a Santana, passando per Bon Jovi e ZZ Top, raggiunge la quota numero dieci di dischi realizzati come solista, ma soprattutto fa raggiungere a noi ascoltatori la consapevolezza di stare davanti ad un mostro sacro della chitarra e dell’hard rock, che dall’alto delle sue sette decadi dimostra di avere ancora degli attributi musicali d’acciaio.

Jeff Beck Loud Hailer Recensione In barba a pregiudizievoli aspettative di schitarrate stantie e nostalgiche, di macchiette e marchette varie, di scimmiottamento o di ammodernamento a tutti i costi, aspettative profondamente disattese, Jeff Beck realizza un album fantasticamente all’altezza del suo immenso background, meravigliosamente a cavallo tra un sound che ricalca la storia del rock britannico e americano così come l’abbiamo imparata, e voli pindarici più contemporanei, che conferiscono all’album in questione un’identità di genere definita, dai lineamenti decisi e d’impatto, senza sbavature.

Non a caso il tutto è già immediatamente percettibile e ravvisabile in “The Revolution Will Be Televised”, brano apripista degli altri dieci pezzi del disco, in cui notevoli supporti sono anche l’eterea voce della cantante Rosie Bones e la chitarra di Carmen Vanderberg, entrambe della band Bones.

Un disco dai toni e dalla scrittura di protesta quest’ultimo di Beck (“The Ballad of the Jersey Wives”, “Scared for the Children”, “Live in the Dark”), caratteristica non certo nuova al londinese e certamente non nuova e non innovativa all’interno del panorama del folk-rock mondiale, ma è altrettanto indubbio che nonostante la scrittura testuale non sia propriamente illuminata, la miscela di rock ed elettronica di Loud Hailer funziona perfettamente.

Un disco vecchio stampo ma con un lucido sguardo sulla contemporaneità insomma, che non squarcerà musicalmente le tele di Fontana ma che vale comunque la pena di ascoltare.

PS
Ad integrazione delle recensione segnaliamo che il disco nei credits riporta il nome di re giovanissi talenti italiani, Giovanni Pallotti al bass, Davide Sollazzi alla batteria e Filippo Cimatti alla Produzione, sentiremo presto parlare di questi musicisti