Ensi: 'Tutto il mondo è quartiere un traghetto verso ciò che sono oggi'

Il 21 aprile è il giorno che segna il ritorno di Ensi. Il singolo Tutto il mondo è quartiere arriva infatti nelle radio e negli store, a tre anni di distanza dal successo dell'album Rock Steady. Per il nuovo disco bisognerà aspettare il prossimo autunno, ma intanto Ensi "mette i puntini sulle i" con un racconto vivido del melting pot culturale tipico delle metropoli odierne, prodotto musicalmente dai The Ceasars. L'occasione è più che buona per fare due chiacchiere con l'artista, che ci ha parlato del nuovo singolo, del prossimo album e di come vive la musica oggi.

Ciao Ensi, iniziamo dal principio. Il nuovo singolo è Tutto il mondo è il mio quartiere. L’argomento è molto attuale, c’è chi si scanna tantissimo sul tema dell’integrazione…
Sì, l'ho considerato. Nel brano trovi anche l’espressione dell'aspetto sociale che riguarda questo argomento. Pìù che altro però volevo raccontare qualcosa e, dai feedback ricevuti e dai primi sentori, penso che l’obiettivo sia stato raggiunto.

Qual era l’obiettivo?
Il brano è principalmente rappato a modo mio, non nella maniera edulcorata del rapper che te la sta raccontando parlandoti della società. È una visione più cruda. Il pezzo è senza filtri, racconto sia gli aspetti positivi che quelli negativi, e lo faccio cercando di restare esterno, da cronista. Oggi se vivi in una grande città – in Italia come nel mondo – non dovrebbe farti strano ciò che sto dicendo. Le abitudini di tutti sono condizionate e influenzate dal modo in cui la società è apparecchiata. Quindi andiamo a mangiare il sushi e a farci i capelli dal ragazzo che probabilmente è del Nord Africa. Questa è la realtà delle grandi città.

Descrivi quindi semplicemente la realtà di una grande metropoli di oggi?
Ogni città ormai è un melting pot di culture, di lingue, di colori. Soprattutto nella terza strofa però cambio un po’ il brano. Le prime due strofe sono una sorta di racconto temporale, di una mia ipotetica giornata tipo. Inizio con “Sogno di svegliarmi come Akeem a Zamunda”, poi vi racconto ciò che mangio e vedo, vi canto che “passo dal Bangla”. Tutto autobiografico ovviamente, ma c’è alla fine una riflessione sul tema, che non vuole assolutamente essere United Colors Of Benetton.

Ecco, infatti, ti volevo chiedere qualcosa sulla chiusa della canzone…
La riflessione è nel mio stile, non voglio fare un annuncio sociale ‘pro’. Dico la mia. Sono un padre di famiglia, quindi “all’uscita di scuola vedo Vinz” – il riferimento è da una parte a Vincent Cassel per il film L’Odio e in parte al nome di mio figlio che è appunto Vincent – “tornare a casa con Hubert e Said” – gli altri due protagonisti del film – “e se l’odio sta qui anche l’amore sta qui”. Io credo che questo possa essere un bel messaggio di fondo mandato dall’intero brano, ma devo ammettere che non ho basato la mia scrittura sull'idea di voler dare una visione critica della società, né tantomeno l'intenzione era quella di espormi su ciò che sta succedendo ogni giorno nelle grandi città, o nel mio quartiere.

Perché? Dove abiti?
Io vivo in via Padova, a Milano. C’è l’Operazione Strade Sicure, ci sono i militari per strada, ma io vivo lì da ormai 7 anni e ti posso assicurare che la vita di tutti va avanti in modo normalissimo. C’è sempre la lente d’ingrandimento puntata sul tema dell’immigrazione e su quanto le altre culture abbiano influito su quella italiana, ma io ho avuto la fortuna – sia grazie alla musica che al mio lavoro precedente, perché lavoravo in una grande azienda – di girare il mondo e, visitando le grandi metropoli, mi sono accorto che il mondo è di tutti. Le città sono di tutti e non sono di nessuno. 

Nel brano parli anche delle tue radici…
Sì, tengo tantissimo alle mie origini. Mio padre è siciliano “e per qualche metro non è nato negro”. È vero! Poco più in là della Sicilia c'è Lampedusa, e poi c’è l’Africa.

Insisti però col dire che la tematica sociale per te non fosse preponderante?
Volevo soprattutto sfruttare la mia vena stilosa. Questo è principalmente un brano di stile, racconta belle immagini attraverso la mia forma, che non lascia niente al caso, dalla citazione al contenuto, passando per la forma tecnica del rap. Ho voluto mettere i puntini sulle i, ma chi conosce la mia discografia conosce anche la mia maniera. L'aspetto sociale, certo, è presente, ma non voglio sbandierarlo. Non perché me ne vergogno, non mi sono anzi mai risparmiato, soprattutto se ho una cosa a cuore. Penso al contrario che questo sia un aspetto veramente figo del rap, che forse un po’ si è perso.

Intendi la capacità di parlare anche di temi sociali?
Per me è un punto cardine. Di cosa stai parlando? Cosa mi stai dicendo? Perché dovrei seguire proprio te che mi dici questa cosa? Al di là della musicalità, dovrebbe essere il punto forte del rap odierno, che fortunatamente e finalmente è entrato nei canoni di chiunque, anche di chi non ha necessariamente il background per comprenderlo a fondo. Le sonorità fanno parte oggi della cultura italiana, eppure quando ho iniziato questa cosa andava spiegata. Qualcuno prima di me ha dovuto addirittura argomentare. Ora la tavola è apparecchiata.

Come ti vedi all’interno di questa tavola apparecchiata?
Penso di poter dire la mia, perché rappresento una determinata faccia di questo gioco. Sono uno di quelli che ha resistito a tutte le ondate dell’ultima decade, e non sono state poche. Ho sempre giocato il mio ruolo all’interno della scena del tessuto dell’hip hop italiano. Nei miei album non puoi invertire le strofe con le basi musicali, non puoi mischiare le cose. Ogni brano ha la sua particolarità, sia quando parlo di cose private che quando racconto storie in cui tutti si possono rivedere. 

Qual è la particolarità del brano Tutto il mondo è quartiere?
Il ritmo è molto tribale, c’è un citar che entra e poi ci sono io che in tutte le lingue del mondo – va bene, non proprio tutte (ride, ndr) – saluto e dico parole importanti. Sopra le parti, c’è una generale visione sociale, ma è un pezzo di stile, energico. Mi piacerebbe che la gente lo ascoltasse senza la forzatura di volerci trovare un contenuto o un’etichetta. Si può anche ascoltare per sentire del rap fatto bene su una bella base.

Faccio una riflessione allora: forse questo tipo di impostazione genera persino una comunicazione più efficace a livello di contenuto sociale? Non è il solito brano costruito ad hoc per lanciare un messaggio.
Sì, a me il compito in classe di dover essere a tutti i costi il rapper che ti spiega come funziona non piaceva neanche ai tempi che furono. Non mi è mai piaciuto questo aspetto, ti dico la verità. Anche se l’hip hop in Italia è nato ed è cresciuto al ritmo dei movimenti dei centri sociali, per cui per forza di cose doveva essere un rap schierato verso una direzione. Nel resto del mondo, però, non è mai stato così. Rischiavano i Public Enemy che parlavano di determinate cose o gli N.W.A. che parlavano di altre cose ancora, ma il loro impatto sulla scena mondiale è stato importante per tutti. I primi parlavano alla società, al movimento delle Pantere Nere, cantavano le difficoltà nei ghetti. I secondi facevano gli spacconi parlando del loro quartiere Compton e delle loro tipe con i culi grossi. Nell’hip hop c’è tutto, per questo a me non piace il rapper italiano che deve salvare per forza il mondo con una canzone. Non c’è riuscito Bob Marley, dovremmo riuscirci noi?

C'è la possibilità di raccontare la società senza scadere in uno stereotipo?
Sì, penso che comunque oggi il rap abbia la reale possibilità di dire delle cose, per cui esiste anche il contro: il rapper che non dice mai un ca**o. Io non sono mai stato così, ma ascolto tanti pezzi oggi che non dicono nulla. Magari c’è la stessa parola ripetuta più volte. Però la musica è musica, è aria, sono vibrazioni. Se ti colpiscono nel punto giusto e la musica ti piace, forse quella è la cosa più giusta per te. Per quanto riguarda il rap, penso che la gente abbia cantato per anni canzoni senza sapere che ca**o volessero dire, non è che ora quindi l’italiano debba per forza raccontarti chissà cosa. C’è chi ci riesce molto bene e in modo serio o più sarcastico, anche se penso che sia un aspetto che si sia un po’ perso. Nel mio piccolo, in ogni album cerco di mettere giù un concetto in modo onesto. Non avrei mai potuto fare il pezzo politico, dicendo che siamo tutti uguali o che bisogna rispettare le religioni di tutti. Questi, tra l'altro, sono atteggiamenti che dovrebbero essere alla base della civile convivenza delle persone di tutto il pianeta, non solo dell’Italia o di Milano. Insomma, se hai la forza di riuscire a veicolare un concetto positivo, tanto di guadagnato. Però gli esempi, anche nella scena mondiale, di brani che sono riusciti a veicolare messaggi positivi e che hanno avuto successo sono pochi.

Quindi è un problema generale?
Ci si può lamentare a lungo della povertà di contenuto, però quando alla gente viene data la possibilità, sceglie sempre la frivolezza. La musica, tuttavia, è entertainment. La gente non ha sempre voglia di ascoltare la musica per sentirsi dire come deve vivere, la gente ha voglia di sentire la musica perché magari ha passato una giornata di m*rda e vuole solo ascoltare un pezzo che gliela fa dimenticare. Questa è la bellezza della musica. Io cerco sempre di accontentare me stesso, per cui non riesco a fare un pezzo in cui non dico un ca**o, anche quando sono nella mia versione più cafona.

Ecco, parliamo di album. Il tuo prossimo lavoro esce in autunno. Come mai hai scelto questo singolo come ‘preview ufficiale’ del tuo progetto?
Il brano è uno dei primi che ho scritto, ce l’ho lì da un po’. Lo ascolto da parecchio tempo, mi piace sempre e avevo una paura fo**uta che tra un po' non mi piacesse più. Probabilmente perché sono un eterno infelice, come tutti gli artisti (ride, ndr). Questa è ovviamente una motivazione, ma non è la motivazione principale. Mi sembra il punto di contatto esatto – mettiamola così – per far capire a chi non mi ha mai sentito e a chi si aspettava un bel ritorno in pompa magna che è un momento importante sotto molti punti di vista.

In che senso?
Dal punto di vista musicale, penso di essermi messo in gioco con sonorità attuali. Il tipo di rap non si discosta da tutti i miei crismi, dalla mia tecnica e dalla mia forma, ma nello stesso tempo è qualcosa di attuale, e voglio ribadirlo. Visto che c’è questo chiacchiericcio intorno al rap italiano, c’è chi vorrebbe che quelli della mia lega e della mia scuola diventassero antagonisti della scena nuova, fatta più per ragazzini. Per me queste chiacchiere stanno a zero, io penso sempre e solo alla musica, senza farmi queste domande, che lasciano il tempo che trovano. Il problema – ed è brutto a dirsi – è che là fuori non ti danno i mezzi per capire il tuo percorso e la tua storia. Io mi sono sempre limitato ad essere quello che va controcorrente.

Be’, la tua discografia in effetti lo dimostra.
Il mio ultimo disco, Rock Steady, è uscito in un momento importante per il rap italiano. Ho realizzato un concept album classico, che aveva le sue trasversalità, ma che restava ‘canonico’ per i suoi contenuti e per la musicalità. Volevo che Tutto il mondo è quartiere fungesse un po’ da traghetto e che trasmettesse il messaggio che sono imprevedibile, ma che l’idea che un ascoltatore può avere di me non è mai sbagliata. All’interno di questo gioco del ‘rap italiano’ rappresento un personaggio, ne sono consapevole, ma non si può pretendere che un artista faccia sempre le stesse cose e rimanga nella sua comfort zone. Potevo uscire con un brano hip hop più crudo, più settoriale – il disco è pieno di pezzi così – però non sarebbe stata una novità. Volevo mettermi in gioco, come feci con Change.

Il primo singolo di Rock Steady?
Sì, all’inizio fu molto chiacchierato e molto poco apprezzato. Poi nel tempo qualcosa è cambiato. Se io dovessi stilare la colonna vertebrale dei brani che mi hanno fatto innamorare dell’hip hop, dentro ci sarebbe una cosa vecchia, una cosa nuova, una cosa che non dice niente e una cosa che dice tutto. Che è un po’ il riassunto poi di ciò che sono. Per cui avevo l’esigenza di tornare nel 2017, dopo tre anni di silenzio, e far capire alle persone che esiste una nuova versione di me, un po' come se fosse l’ombra che si proietta davanti al sole. Io sono sempre fermo nello stesso punto, ma l’ombra si proietta in posti diversi sulla mia musica. Non so se ho detto una grande ca**ata o una grande verità, però posso dirti che la vedo così. Fancu*o a tutti sti paletti, a tutte ste settorialità, a questo dare delle etichette alla musica. Io sto nel mio.

A questo proposito, però, ho una domanda. Quanto è facile o difficile scrollarti di dosso il contesto circostante e fare il tuo? Non rischi ogni tanto di finirci trascinato dentro?
Sì. Fare musica però è la cosa che mi fa stare meglio sulla Terra. Il confronto ci sta, ma il conflitto a cosa porta? Respiriamo tutti la stessa aria e ognuno può fare ciò che gli pare. L’importane è essere onesti in quella che è la propria visione. Non dico che sto con le mani in mano sopra le parti e non prendo una posizione, perché sarebbe da codardi. E io sono l’opposto di un codardo, ci metto sempre la faccia. Però io come potrei permettermi – anche se potrei sotto certi punti di vista, e leggi tra le righe – di andare da qualcuno a dire 'questo è vero e questo no'? Magari è vero per me e non per gli altri. Il presupposto, per fortuna, è che oggi la musica è di tutti. Poi c’è chi ha i mezzi per capire un certo tipo di musica e chi non li ha. Io faccio un certo tipo di rap in Italia, se non ti piace il rap il mio disco non te lo compri. Voglio però restare al di fuori della competizione tra ciò che c’è oggi e ciò che c’è stato, anche perché io sono stato per anni l’emblema di un passaggio musicale e sociale, visto che sono arrivato a cavallo tra il digitale e l’analogico, quando c’era ben poco. So come gira, ho partecipato alle feste più scarse di provincia, ho suonato davanti a 20 persone o su palchi importanti come quello del Primo Maggio. E l’importante è sempre essere trasparenti nel rappresentare la propria musica, perché c’è spazio per tutti, ma è sempre la gente che sceglie.

E questa è un’innegabile verità, in effetti.
Possiamo scegliere la nostra musica finché non esce fuori. Io potevo essere contento di Tutto il mondo è quartiere fino a quando non è uscito. Una volta uscito, il brano è di tutti. Sono gli altri a decidere se verrà glorificato o messo alla gogna. Da questo punto di vista, il potere è molto democratico. Sarà la gente a scegliere, non ho bisogno di dirti che sono migliore degli altri o diverso. Le persone sanno chi sono, devono solo capire se la mia roba fa per loro. Ti spoilero una rima del disco, “Non basta che mi segui, serve che ci credi”. Oggi tutti seguono tutti, però io ho una mia visione. Lo dicevo già nel mio album precedente, nel brano L’alternativa. La mia visione non è cambiata, è solo aggiornata al 2017.

A proposito della nuova versione di te, quindi, in cosa sei cambiato artisticamente? Anzi, riprendo la tua metafora: dove si trova ora quest’ombra?
Il disco è molto attuale, lo definirei così. Le sonorità sono molto contemporanee, rivisitate in base al mio gusto. A livello di scrittura, ho cercato di superare i miei limiti, di spingermi oltre la mia comfort zone. Ho messo tutto in discussione. A volte sono partito dai testi che avevo già scritto su altre basi, adattandoli a basi completamente diverse. Il pezzo così veniva stravolto e molte canzoni sono nate da una ricerca di questo tipo. Volevo prima capire dove volevo andare musicalmente e adattare il testo a ciò che veniva fuori. Ho avuto per mesi dei testi che non avevano una casa. Alcuni l’hanno trovata, altri la stanno per trovare. Da questo punto di vista, sono cambiato nelle mie sfaccettature. Chi conosce la mia discografia sa che so fare tutto e che ho fatto tutto, anche a livello di sonorità. Ho usato il tanto decantato autotune nel 2010, ma se ora su questo singolo fosse partito l’autotune avrebbero gridato tutti al male. Io non ci sto, questa è musica, devi filtrare te stesso attraverso ciò che sta succedendo, altrimenti è musica con i paraocchi. Questo album rappresenta Ensi nel 2017. Quindi la mia ombra è in avanti. Direi alle 6 (ride, ndr).